Quando hai i parenti sparpagliati per le regioni, finisce sempre così: vai in visita nel posto di cui sei originario e, tra un dovere familiare e l’altro, ti dimentichi di fare il turista, di guardare le cose con gli occhi di chi vuole saperne di più. A meno che non scatti una pandemia mondiale. Questo potrebbe cambiare le cose e spingerti a raccontare la vita di quelli che non avresti mai pensato diventare i tuoi giorni. È successo a Nicola Jiang, italiano di nascita e cinese di origine. Come si definisce lui su Tik Tok, dove al momento ha 305,9mila follower ,“Un cinese a Pechino”. Occhiali e accento dell’Adriatico, va alla scoperta di una cultura che, racconta, gli era “totalmente sconosciuta”. E così la restituisce, senza troppi fronzoli ed elaborazioni filosofiche.

A gennaio dello scorso anno, come aveva già fatto altre volte, era andato in Oriente in occasione del capodanno cinese, pensando di fermarsi per tre settimane. Poi, il Covid19. Che confini non ne ha, ma ne mette. Archiviato il rigido lockdown, inizia a pubblicare video sulla piattaforma detestata da Donald Trump e amata dal mondo – l’ei fu Musical.ly – senza troppe aspettative. Non ha un piano editoriale – non ce l’ha tuttora – ma si accorge che le brevi clip funzionano, vengono visualizzate. E allora comincia a farne con più assiduità. “Non scelgo i temi: condivido le mie giornate, quello che mangio, cosa bevo, come mi diverto” racconta.

Il suo racconto è una via di mezzo tra un diario e una guida per turisti (spesso spiega come mangiare con poco), senza troppe pretese. Chi si aspetta di trovare analisi sociali e politiche, deve rivolgersi altrove (per esempio al podcast “Risciò”, di Giada Mesetti e Simone Pieranni).
I video di Nicola rappresentano le giornate di un trentunenne riservato – era restio a dichiarare l’età, perché voleva risultare comunicativo per fasce diverse di follower – che se ne va a zonzo per Pechino e dintorni. Al suo pubblico piacciono “le differenze tra i due paesi”.

Mentre cammina per le città, è il suo, il primo sguardo di stupore. Magari davanti alle “istruzioni per chi vuole adottare un cane” affisse vicino a una stazione di Polizia: se si vuole un animale domestico, bisogna registrarsi entro trenta giorni alle forze dell’ordine, che poi effettueranno un controllo annuale. Le linee guida contengono anche le regole anti abbandono: se non puoi più tenere l’animale, contatta chi di dovere, troveranno loro una soluzione.

Nicola racconta che i Noodles  “Luo Si Fen” son quelli che “puzzano”, perché i germogli di bamboo hanno un odore forte, oppure recensisce una bella cena giapponese in Cina, o le strane coreografie di danza che la sera, dopo cena, gli adulti fanno per strada.

Sul Covid non indugia: dà aggiornamenti su eventuali quartieri in quarantena, ma niente di troppo tecnico.

Come Davide Patron, che sulla piattaforma regala pillole di lezioni di inglese, congeda tutti con un “bella lì”, Nicola chiude i suoi video con un “ciao” calante, cifra stilistica del suo diario.

Appena si è potuto Nicola ha iniziato anche a viaggiare, raccontando posti come Xitang, una piccola città antica a sud della Cina, che lui paragona a Venezia, così come il funzionamento di stazioni e aeroporti. A Daxing, lo scalo di Pechino che è anche più grande al mondo, ha dedicato un video anche su YouTube: lì sono installati totem sparsi che, sfruttando il riconoscimento facciale, restituiscono ai viaggiatori i biglietti aerei andati perduti nella foga del momento. A Nanchino invece, enormi schermi posizionati a un incrocio stradale vengono proiettati i volti e i dati – nome e carta di identità, seppur incompleti – dei pedoni che hanno attraversato col rosso. In modo che alla multa si aggiunga la pubblica ammenda.

@nicolajiang

Ogni giorno ne vedo una nuova. La #Cina è immensa e ogni città ha delle proprie regole e #Nanchino mi sorprende sempre di più 🤩 #viaggiareincina

♬ Don’t Call Me – Brando

Tutti esempi che mostrano smart city nella loro interpretazione più fulgida e che evidenziano naturalmente le differenze culturali d’approccio nell’acquisizione e sfruttamento dei dati dei cittadini. L’Intelligenza Artificiale, sulla quale la Cina sta investendo in maniera indefessa, provando a sottrarre lo scettro agli Stati Uniti, è uno dei chiodi fissi del Paese: secondo un rapporto di International Data Corporation (IDC) e Inspur Group, nei prossimi quattro anni le dimensioni del mercato cinese raggiungeranno i 17,22 miliardi di dollari (Ansa).

Mentre il dibattito tra opportunità e controllo resta uno dei più accesi anche dalle nostre parti, intanto la Cina assottiglia il divario con la generazione non alfabetizzata, anche secondo le risposte di Nicola sul rapporto tra cittadinanza e uso dei nuovi media: “I pagamenti ormai sono quasi tutti tramite WeChat o Alipay, raramente c’è ancora chi paga in contanti. Stanno aprendo sempre più negozi in cui non c’è la figura del cassiere, ma ci sono a disposizione solo schermi touchscreen per poi pagare solamente col cellulare”.

Tutto, dalle bollette agli abbonamenti, fino alle prenotazioni per gli ospedali, passano dallo smartphone: “La gente di quasi tutte le età ormai ha imparato ad usare il cellulare per queste cose, perché ormai è indispensabile ­– continua – Forse un po’ più difficile per le persone più anziane, ma ho sentito che stanno già cercando delle soluzioni per facilitarli. Per dire, pure mia nonna ha imparato a usare WeChat, a mandare videochiamate, messaggi vocali, condividere link e video!”.

Nicola, che in cinese parla e chatta, ma si definisce “un analfabeta per quanto riguarda gli ideogrammi cinesi” (quindi niente libri o articoli di giornale), usa WeChat per comunicare – anche se l’app, appunto, racchiude moltissime funzioni insieme, come una sorta di compendio di servizi digitali. Poi grazie alle Vpn – servizi che consentono di far perdere le tracce dell’utente, garantendone la privacy – usa “anche WhatsApp, YouTube e Facebook, come in Italia”.
A proposito di Italia, rientrerà? Ci ha provato subito dopo il primo serrata lockdown, ma gli “hanno cambiato 3 volte la data del volo” e si è scocciato di provarci “ho voluto il rimborso, ma dopo un anno non mi sono arrivati i soldi indietro”. Tanto, dice, non avrei saputo che fare. Prima aveva un negozio di abbigliamento, ma ora, anche se guarda a marzo come data di un possibile rientro, non ama fare programmi. “Girando i pollici ho voluto fare dei TikTok e far viaggiare gli italiani”: ci è riuscito.